Cosa muove il carnefice che si macchia in modo recidivante di reati violenti, spesso a sfondo sessuale, ad accanirsi contro le proprie vittime? In molti casi si tratta di persone che a loro volta hanno subito abusi durante l’infanzia o hanno assistito in modo traumatico a episodi di questo genere. Il convegno internazionale “Intrecci traumatici: nuove prospettive e strategie d’intervento”, organizzato dal Centro di ricerca sulle dinamiche evolutive e educative insieme all’Unità di ricerca sulla psicologia del trauma dell’Università Cattolica, ha affrontato questa tematica nel corso di due giornate di studio durante le quali gli esperti del tema hanno fatto il punto sullo stato dell’arte in tema di trauma e abuso all’infanzia per approfondire il rapporto tra trauma e comportamento criminale.
Anche una volta scontata la pena in carcere con buoni risultati e collaborazione da parte del detenuto, apparentemente riabilitato, l’autore di reato torna in molti casi a reiterare il comportamento criminale. Mentre in Italia esistono molti studi e trattamenti collaudati sulla vittima, la letteratura è piuttosto scarna sui meccanismi che possono portare la vittima con un disturbo post-traumatico a diventare a sua volta un carnefice. C’è un riscontro oggettivo in alcune indagini cliniche come quella condotta in Lombardia su un campione di 75 detenuti (25 donne e 50 uomini) degli istituti penitenziari di S. Vittore, Opera e Bollate, condotta da Paola Di Blasio insieme a Vittoria Ardino e Luca Milani. In questi soggetti è emersa la presenza sia di traumi pregressi, sia di sintomi da disturbo post-traumatico. Il 42% dei soggetti ha subito maltrattamenti fisici, il 74% psicologici, il 42% è stato abusato sessualmente e il 53% ha familiarità con problemi psichiatrici. Tutti fattori predittivi della propensione a reiterare il reato (nel 30% dei casi), al quale contribuisce la mancanza di supporto sociale da parte delle reti familiari e amicali che genera nei detenuti sentimenti di abbandono e di solitudine estrema.
La cura consiste nell’intervenire con una terapia adeguata che consideri il carnefice a sua volta vittima, pur senza fare sconti alla gravità e alla responsabilità di quanto commesso. Spesso questi soggetti vivono una sorta di dissociazione dal gesto compiuto, come se a compierlo fosse stata un’altra persona o come se tutto si fosse svolto in un sogno; d’altra parte invece emergono la consapevolezza e il rischio di ripetere l’azione. Naturalmente i minori sono i soggetti più a rischio. Tre esempi, riportati da Marisa Malagoli Togliatti. In alcuni casi di separazione il fenomeno di stalking (la persecuzione di qualcuno alla fine di un rapporto affettivo) si ripercuote anche sui figli. C’è poi il turismo sessuale che soprattutto nei paesi orientali riguarda l’abuso di minori. Infine un pericolo chiamato "grooming", legato alle nuove tecnologie, cioè l’adescamento di minori on line, prevalentemente 11-14enni, che si conclude con l’incontro personale e la violenza sessuale.
Fonte: Gazzotti E. Il breve passo da vittima a carnefice. Cattolica News, Ufficio stampa Università Cattolica 2009.
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