• 250527 iscritti di cui 15 online

    Una foto per sancire una scoperta scientifica?

    Come San Tommaso, se lo vedo, ci credo. È questa, in sintesi, la morale che si trae da uno studio curioso uscito sull’ultimo numero di Cognition e inventato da due psicologi statunitensi. In sostanza hanno mostrato ai loro studenti di psicologia i risultati di alcune ricerche fittizie sul cervello, raccontate in modo giornalistico e corredate o meno dalla classica immagine ottenibile con la risonanza magnetica funzionale.

    Le ricerche erano in effetti un po’ assurde: in un caso si sosteneva che, poiché vedere la TV e studiare la matematica attivano le stesse aree cerebrali a livello temporale, la visione di programmi televisivi poteva aiutare ad acquisire confidenza con i numeri. In alcuni casi all’immagine del cervello veniva sostituita la cosiddetta mappa topografica dell’attivazione cerebrale.

    Gli studenti dovevano quindi dare un voto alla scientificità della scoperta su una scala da 1 a 4: le sintesi corredate dell’immagine realistica hanno ottenuto un punteggio più elevato, benché i testi presentassero evidenti lacune in termini concettuali e non riportassero dati numerici.

    Gli autori dello studio affermano che il fascino esercitato sul grande pubblico (ma anche sugli addetti ai lavori, visto che le cavie erano studenti di psicologia) dalle immagini del cervello ottenute con la RM costituiscono la base di una sorta di “neuro-realismo”: un giudizio acritico di realtà legato al semplice fatto dell’esistenza di un’immagine intuitivamente riconoscibile del fenomeno. Gli stessi neuroscienziati si chiedono se ciò sia un bene, perché questo induce una visione riduzionistica del funzionamento del cervello, una sorta di identificazione totale della mente con l’organo e dei processi cognitivi con i fenomeni chimico-fisici che avvengono all’interno delle cellule cerebrali e che sono “fotografate” dal neuroimaging.

    A riprova di ciò, i testi accompagnati dalla semplice immagine topografica, che non è inserita nei contorni ricnoscibili di un cervello umano, non trasmettono lo stesso senso di scientificità. Non solo: il voto di qualità sull’articolo (in pratica il giudizio sulle capacità di comunicazione del giornalista) è più elevato se c’è un bel cervellino acceso, anche se il testo è assolutamente identico, e questo dovrebbe far meditare a lungo noi giornalisti scientifici sul ruolo che gioca l’iconografia nella comprensione di ciò che scriviamo.

    Sempre secondo gli autori, la possibilità offerta dalle tecniche moderne di neuroimaging di vedere un sistema al lavoro, tipica delle scienze “esatte” come la fisica e la chimica, è alla base del crescente interesse del grande pubblico per le scienze cognitive. Non solo: ha dato anche una sorta di aura di scientificità alla psicologia, considerata fino a poco tempo fa più una sorta di “filosofia” che di scienza.

    “La scoperta che le immagini del cervello in azione influenzano la credibilità delle scienze cognitive ha anche delle implicazioni etiche” dicono nello studio. “Alcuni sostengono che i neuroscienziati dovrebbero diffondere di più le loro scoperte, altri, invece, sono frustrati dalla eccessiva semplificazione dei dati effettuata dai media a causa della presenza di immagini cerebrali”. In pratica, è colpa della foto se poi il pubblico crede che vi sia un’area dell’amore, una dell’odio, una della sessualità e persino una per la percezione del divino. Il cervello subisce lo stesso processo di “sezionamento” e di semplificazione della relazione di causa-effetto avvenuto nell’ambito della genetica a causa dei titoloni giornalistici stile “Scoperto il gene della felicità”.

    Gli autori sono pur sempre americani, e quindi concludono: “Poiché la percezione della scienza da parte del pubblico può giocare un ruolo importante nelle decisioni di finanziamento e nella direzione da imprimere alla ricerca scientifica, la fascinazione per il cervello può avere un impatto positivo sull’opinione che il pubblico ha delle scienze cognitive”. Come a dire: un cervellino acceso in più farà anche qualche danno epistemologico, ma fa anche mettere mano al portafoglio.

    Articolo di Daniela Ovadia, tratto da: http://lescienze.espresso.repubblica.it/ 

    Per lasciare un commento è necessario aver effettuato il login.

    Aree riservate agli abbonati di liberamente