Perché l’Italia è così indietro? Nei tassi di occupazione giovanile siamo il fanalino di coda. Perché?
«Soffriamo di mali antichi. Il primo, e più grave, è la mancanza di trasparenza nelle assunzioni. Familismo, clientele politiche, raccomandazioni, circuiti amicali, uccidono la selezione per merito. Si cercano ancora le persone “conosciute” anziché quelle brave. Eppoi, abbiamo un sistema formativo pieno di falle, inadeguato e scollegato dal mondo delle imprese». Risponde Giuseppe Roma, direttore generale del Censis, che denuncia le patologie che frenano lo sviluppo del lavoro.
Dottor Roma, in che modo intervenire?
«Come in altri Paesi, dovremmo avere delle “botteghe” in strada, nei quartieri, strutture dove far convergere l’offerta di lavoro. Pubbliche o private, non importa, queste botteghe renderebbero più trasparenti i meccanismi di selezione del personale. Ma c’è un altro punto dolente. Manca il collegamento tra la formazione e il mondo delle imprese. E’ su questo che bisognerebbe intervenire».
Ha una proposta?
«Occorre creare una circolarità tra scuola, università, agenzie per l’impiego e aziende. C’è anche un problema di scelte degli indirizzi di studio. L’Italia ha troppi dottori in Legge e pochi ingegneri. I giovani dovrebbero essere orientati verso le facoltà scientifiche, altrimenti non ci sarà la ripresa».
La riforma delle lauree può favorire questo processo?
«Sì, ci sono stati dei risultati positivi. Però c’è una proliferazione di proposte e troppi corsi sono legati alle mode, con il rischio di creare futuri disoccupati. Sociologia, psicologia, scienza delle comunicazioni di massa si gonfiano di iscritti, mentre le aule scientifiche restano deserte».
I giovani italiani impiegano undici anni per trovare un lavoro sicuro, ai loro coetanei britannici di anni ne bastano cinque. Possibile che ci sia un tale divario?
«Purtroppo le cose vanno proprio così. I laureati in Economia, a Londra, trovano occupazione subito. A ventidue anni hanno un contratto. Negli altri paesi europei, in generale, la rispondenza tra i titoli di studio e il mercato del lavoro è maggiore. I nostri laureati, invece, incontrano ostacoli perchè le imprese mostrano ancora resistenze ad assumerli. Eppoi, c’è un problema di competenze. Spesso i nostri giovani, anche se preparati, non corrispondono agli standard richiesti dalle aziende».
Tra i giovani la disoccupazione è del 24%
«Ma se guardiamo la media complessiva degli occupati il tasso in Italia non è poi così negativo: è solo dell’8%, meno che in Germania, dove oscilla tra il 10-12%. Ciò prova che il nodo da sciogliere è proprio il passaggio dalla scuola al lavoro».
Il lavoro nero in che misura influisce?
«In modo rilevante, ma, ripeto, alle spalle c’è il problema della formazione e il meccanismo perverso delle clientele che rallenta l’ingresso nel lavoro. Faccio un esempio. In Umbria due laureati in Scienze statistiche, dopo avere atteso degli anni e non avendo trovato un lavoro adeguato alla loro formazione, dopo avere toccato la soglia dei trentacinque anni si sono decisi ad aprire una libreria. Se non lo avessero fatto ce li ritroveremmo ancora nelle statistiche dei disoccupati o dei sottoccupati. Ebbene, come loro molti altri. Solo quando non possono più farne a meno cambiano rotta e accettano l’idea di puntare su un lavoro diverso. Questo dovrebbe fare riflettere su quanto sia importante scegliere un percorso formativo che possa avere sbocchi».
Intervista di Anna Maria Sersale
Fonte: http://ilmessaggero.caltanet.it