L’effetto scarsità è stato concettualizzato da Robert Cialdini nel 1987 nell’ambito dei suoi studi sull’influenza sociale.
Cialdini suggerì che la scarsità, intesa come limitata disponibilità di un prodotto, portava le persone a desiderare quel prodotto più ardentemente, come se nella loro mente “girasse” l’equazione implicita che ciò che è raro, o sta finendo, è di maggior valore.
Quello che qui chiamo equazione implicita altro non è che un’euristica, ossia una scorciatoia del pensiero che semplifica il processo decisionale riducendo gli sforzi cognitivi.
In altri termini, poiché la mente non può prendere in considerazione, con sofisticati algoritmi, tutti gli elementi di valutazione possibili in una data situazione, quando vede un prodotto desiderabile che scarseggia, “lancia” la sua euristica “raro=di valore” e prende la decisione in un secondo: lo voglio!
L’effetto scarsità è talmente reale che, oltre a essere stato dimostrato in numerosissimi studi sperimentali, è concretamente operazionalizzato in tecniche di marketing di cui siamo bersaglio tutti i giorni: le edizioni limitate, la commessa che ti dice “E’ l’ultimo pezzo!”, il televenditore che ti urla “solo per oggi!” oppure “solo alle prime 50 telefonate!”.
Ma qual'è il meccanismo psicologico che media l'effetto scarsità?
In letteratura sono rintracciabili, a questo proposito, due posizioni teoriche apparentemente contrapposte: secondo alcuni, la scarsità ha un effetto negativo/interferente sul processamento riflessivo dell’informazione in entrata (il messaggio di marketing), secondo altri ha un effetto positivo/favorente sul processamento medesimo.
La scarsità negativo/interferente
Cialdini, nel suo famoso libro “Le armi della persuasione”, sintetizzando i risultati di diversi studi condotti sull’argomento, propose che la scarsità danneggia la nostra abilità a pensare in maniera riflessiva e favorisce il ricorso al pensiero euristico, perchè incrementa l’arousal, l’attivazione neurofisiologica dell’organismo.
Venire a sapere che di quella bella giacca c’è solo un pezzo, ci manderebbe così "in tilt", da farci restringere il focus attentivo, sopprimere i processi cognitivi riflessivi e impedire un’analisi più accurata della situazione.
Altri hanno spiegato l’effetto scarsità avvalendosi della teoria della reattanza psicologica. Questa teoria asserisce che quando le persone ritengono che la loro libertà di effettuare un dato comportamento sia minacciata, esperiscono una reattanza psicologica, uno stato motivazionale diretto alla ristabilizzazione della libertà minacciata o perduta.
Poiché la scarsità interferisce effettivamente con la nostra libertà di accesso a qualcosa, saremmo tendenzialmente portati a reagire a questa interferenza, desiderando quel qualcosa molto di più e sforzandoci il più possibile per ottenerlo. In balia della reattanza processeremmo, ovviamente, l’informazione di marketing in maniera euristica e non riflessiva.
La scarsità positivo/favorente
Altri ricercatori come Inman (1997, p.68) hanno rilevato, in apparente contraddizione con quanto affermato prima, che la scarsità motiva il consumatore a porre maggiore attenzione sul messaggio. Per esempio Mazis (1975) rilevò che i consumatori prestavano maggiore attenzione a un attributo di un detergente (il fosfato) in condizioni di scarsità rispetto a quanto facessero quando il prodotto era abbondante. Allo stesso modo Bozzolo and Brock (1992, p. 96–97) suggerirono che dal momento in cui è percepita una indisponibilità dell’informazione, questo porta a un accresciuto desiderio di ascoltare il messaggio. Si pensi al caso di una radio che non stavate ascoltando, che smetta improvvisamente di trasmettere…
Insomma la scarsità sembra funzionare talvolta interferendo, per il tramite dell’aumentato arousal, con il pensiero riflessivo, talvolta favorendo l’abilità dell’individuo a processare in maniera riflessiva il messaggio dell’offerta, attirando la sua attenzione specifica.
Recentemente alcuni ricercatori statunitensi [1] hanno provato a ricomporre questa apparente contraddizione, introducendo una variabile ulteriore: il livello di motivazione soggettiva del consumatore.
Nel caso di alta motivazione soggettiva (oggetti molto desiderabili quali libri rari, automobili, quadri) l’incremento dell’arousal sarebbe così intenso da limitare l’abilità di processare l’informazione in maniera riflessiva, con il risultato di spianare la strada alle euristiche (prezzo alto = maggiore qualità, oggetto raro = di valore ecc.)
In caso di bassa motivazione (prodotto mediamente desiderabile) l' incremento dell’arousal avverrebbe allo stesso modo, ma in misura minore, e tale da favorire il processamento riflessivo attraverso l’aumentata attenzione alle informazioni rilevanti del messaggio.
In questo secondo caso l’azione persuasiva si realizza lo stesso perché siamo portati ad acquistare qualcosa di cui, magari, non avevamo bisogno, solo perché ha attirato la nostra attenzione.
Il sottotitolo del famoso libro di Cialdini è esplicativo: alla fine si finisce sempre per dire di sì….
Articolo di Giulietta Capacchione, tratto da: http://psicocafe.blogosfere.it/