“La psichiatria è una truffa”, ha drasticamente dichiarato Tom Cruise a una trasmissione televisiva. Dopo le aperte dichiarazioni dell’attore, che si è espresso contro qualunque uso di farmaci per curare le malattie mentali, mettendo anche in dubbio le diagnosi psichiatriche in sé, è aumentata la polemica fra istituzioni come la American Psychiatric Association e la chiesa di Scientology, il potente movimento d’opinione che raccoglie tanti consensi fra le star di Hollywood. Ultimo atto del dibattito, che ha avuto ampia risonanza sulla stampa italiana e internazionale, un comunicato stampa del CCDU (Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani), associazione legata a Scientology.
“Se questa è la scienza che conosciamo, allora buttiamo via tutta la medicina che conosciamo”, commenta il CCDU nel suo comunicato, “e diamo a tutti una dose di oppio: avremo molti pazienti che stanno meglio”. Le tesi del CCDU sono semplici quanto categoriche: le definizioni psichiatriche delle malattie mentali non sono che un artificio degli psichiatri, i farmaci per curarle sono solo uno strumento di lucro e di controllo attuato sulle categorie più deboli della popolazione (anziani, bambini, individui fragili), la base organica dei disturbi mentali è una chimera.
Sono argomenti ad effetto, che fanno presa sul pubblico, il quale ha poca dimestichezza con il linguaggio delle ricerche e con la mole di studi che avvalorano le tesi psicologiche e psichiatriche ai problemi del disagio mentale. Tutti conoscono, direttamente o indirettamente, la storia di qualche terapia fallita, e gli aneddoti pesano, nel giudizio, molto più di complessi e rigorosi studi scientifici. La diffidenza verso la psichiatria trova poi facilmente un terreno fertile, in particolare negli Stati Uniti, a causa di episodi di abuso dei farmaci e delle diagnosi: è un fatto che in molti paesi in effetti il consumo dei farmaci neurolettici e la sua somministrazione ai minori sia aumentata vertiginosamente nel corso degli anni.
Quando si pensa di avere tutte le risposte, si rischia di non porsi le domande appropriate. Sconcerta questo uso di categorie generali: “gli psichiatri”, “i medici”, “gli psicofarmaci”: Non c’è contesto, non c’è discriminazione, come se tutti i pazienti, i medici e le sostanze terapeutiche fossero dei grandi blocchi uniformi e indifferenziati. Questo atteggiamento, amplificato da certe ingenue affermazioni dei Media (“gli psicologi dicono che…”) alimenta il mito dell’univocità delle posizioni e degli approcci, quando per la sola malattia mentale sappiamo che esistono numerose scuole, teorie e strategie terapeutiche, con o senza farmaci, ognuna delle quali ha qualcosa da dire e un contributo importante da offrire.
Questo modo di presentare la realtà non lascia spazio alle capacità critiche dell’individuo, e in ultima analisi non gli consente di crescere, e di saper esaminare, al di là degli stereotipi, quale approccio, terapia, professionista può essere più appropriato per il suo problema. Così si rischia di scoraggiare, si rischia che la persona in ricerca di una soluzione si fermi e rinunci alla prima difficoltà. L’utilizzo di farmaci per il disagio mentale è una scienza in evoluzione continua, un terreno delicato in cui ogni scelta ha il suo prezzo; al di là delle generalizzazioni, occorre analizzare ogni singola situazione e scegliere l’approccio che ha maggiori possibilità di sostenere il paziente e accompagnarlo nel suo percorso verso la salute. Spesso la decisione di ricorrere alla consulenza di un professionista, a una terapia o ad un farmaco è penosa e sofferta, e deve già superare pregiudizi, diffidenza, paure; è grave che coloro che più hanno il potere di influenzare l’opinione pubblica, invece di facilitare il superamento di queste barriere, ne aggiungano altre, rendendo meno probabile questo passo importante, che in ultima analisi è il primo di un percorso di progressiva acquisizione di responsabilità verso la propria salute.
Articolo di Antonella Sagone, tratto da http://it.health.yahoo.net