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    Per un’impresa ‘responsabile’

    In Italia si è cominciato a parlare di responsabilità sociale d’impresa (Rsi) da quando nel 2000 il Consiglio europeo di Lisbona l’ha indicata fra gli obiettivi strategici, e nel 2001 è apparso il Libro verde della Commissione europea, che ne conteneva le linee guida. Ma è stato soprattutto l’attuale Governo a battere sul tasto della responsabilità sociale d’impresa, in specie grazie alla presentazione del Progetto Csr-Sc, avvenuta nella Conferenza europea di Venezia del novembre 2003, durante il semestre di presidenza italiano. Nel quadro dell’attuazione di tale progetto sono stati poi stipulati, nel corso del 2003-2004, vari protocolli d’intesa fra il Governo e alcune associazioni di categoria (ad esempio Unioncamere, Confapi, Assolombarda, Associazione nazionale dei consulenti del lavoro), al fine di diffondere tra gli associati la cultura della Rsi.

    Che cos’è la Rsi

    Se è vero che negli spazi comunicativi delle società contemporanee, le idee contano non tanto in virtù della reale innovatività dei loro contenuti, quanto per la loro carica simbolica e capacità di diffusione, la vicenda della responsabilità sociale d’impresa merita qualche attenzione. Tipico esempio di sapere ibrido e post-moderno, a cavallo fra etica, economia, sociologia, e (buon ultimo) diritto, la Rsi è scaturita da un’esigenza di correzione spontanea dei modelli di azione imprenditoriale imperanti nel capitalismo anglosassone, ma si è rivelata capace di penetrare, sempre più capillarmente, anche nei modelli europeo-continentali, che pure avevano preferito, tradizionalmente, affidarsi ad altri dispositivi di riequilibrio.
    La Rsi è definita dal Libro verde come "l’integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni sociali ed ecologiche nelle loro operazioni commerciali e nei rapporti con le parti interessate". In estrema sintesi, incarna il tentativo di far comprendere alle imprese che improntare i propri comportamenti, nei confronti di tutti gli stakeholder coinvolti, a canoni di responsabilità sociale, può giovare, oltre che alla società nel suo insieme, alla produttività e competitività delle imprese stesse. La prospettiva di azione della Rsi è, dunque, trasversale, e i lavoratori rappresentano soltanto uno (per quanto importante) dei gruppi di stakeholder rispetto ai quali si può misurare il rispetto degli impegni sociali. Non a caso, ai fini dell’adozione da parte delle imprese del cosiddetto Social Statement, il Progetto Csr-Sc prevede un insieme di indicatori articolati in otto categorie, in base ai diversi gruppi di stakeholder: risorse umane; soci/azionisti e comunità finanziaria; clienti; fornitori; partner finanziari; stati, enti locali e pubblica amministrazione; comunità; ambiente.

    Rsi e lavoratori

    Per quanto concerne i lavoratori, gli ambiti di intervento consigliati dal Libro verde (e dal Governo) non rappresentano, in sé, una novità e si legano alle tendenze attuali delle politiche del lavoro europee: gestione qualificante e inclusiva delle risorse umane, rivolta alla valorizzazione del capitale umano; tutela ad ampio raggio della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (compreso il mondo degli appalti e dei sub-appalti); sviluppo dell’adattabilità dei dipendenti. Ciò, quantomeno, per la dimensione domestica della Rsi. Nella prospettiva globale, la tematica assume altre e ancor più importanti connotazioni, ove si pensi che nel vuoto abissale di regole a tale livello, i "codici di condotta" delle imprese multinazionali, supportati dall’azione di organizzazioni come l’International Labour Organization (Ilo), si stanno rivelando come il meno inefficace degli strumenti di promozione dei diritti sociali fondamentali nei paesi in via di sviluppo.
    Tornando alla dimensione domestica, l’introiezione di una cultura di responsabilità sociale ha già indotto le imprese a sviluppare prassi socialmente virtuose, al di là degli stretti obblighi normativi, almeno in alcuni campi come, ad esempio, la gestione degli appalti e delle eccedenze di personale. L’azione legislativa potrebbe, in futuro, introdurre ulteriori dispositivi di incentivo all’adozione di pratiche di Rsi, così come molto potrebbe fare la contrattazione collettiva. Merita menzionare, in tale ottica, il protocollo del 16 giugno 2004 sullo sviluppo sostenibile e compatibile del sistema bancario, nel quadro delle trattative sul rinnovo del Ccnl di settore.

    La Rsi presa sul serio

    L’importanza della Rsi non va enfatizzata. Non è l’uovo di Colombo, capace di spegnere tutti i conflitti e di proiettarci per incanto in un mondo ingentilito dalla pratica generalizzata di giochi cooperativi. Né può aspirare a prendere il posto, almeno nell’immediato, delle tecniche tradizionali di regolazione. Ma nondimeno, sarebbe un grave errore, sottovalutarne il potenziale innovativo, anche se ogni novità è portatrice di preoccupazioni: per i lavoratori, già il fatto di essere potenzialmente assimilati agli altri stakeholder potrebbe suonare preoccupante. Si tratta pur sempre di un segnale positivo lanciato, o se non altro accettato, sia pure fra molte riserve e contraddizioni, da un capitalismo capace di farsi "riflessivo", e tanto nella versione anglosassone quanto in quella renana. In un momento in cui lo shareholder sembrava non avere più rivali, è comunque importante che si sia tornati a predicare una convivenza pacifica e fruttuosa di tutti gli stakeholder, alla ricerca di un’equità sociale economicamente sostenibile.

    Tratto da www.lavoce.info

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