Sappiamo benissimo di provare emozioni, sofferenze, stati d'ansia, forme di depressione. Insomma, non siamo soltanto creature razionali che di fronte agli eventi quotidiani vanno subito alla ricerca di spiegazioni più o meno scientifiche.
Ci si chiede allora come si comportano gli altri corpi viventi. Si pone, insomma, una domanda apparentemente semplice: possiamo davvero attribuire emozioni anche agli animali, e queste ipotetiche emozioni assomigliano alle nostre? Una prima risposta positiva e documentata fu data da Charles Darwin in un grosso volume dedicato appunto agli stati emotivi nell'uomo e negli animali.
Un grosso volume meno noto – e ancor meno letto – di quelli che Darwin scrisse per discutere dell'origine delle specie o dell'evoluzione dell'uomo. Ma Darwin non aveva dubbi: lievi e graduali erano le differenze tra i mondi emotivi di Homo sapiens e quelli che alloggiavano in altre strutture dotate di vita. Oggi lo stato delle ricerche su questi temi è molto più avanzato di quello che era disponibile a Darwin nella seconda metà dell'Ottocento. Diventa allora più accettabile il punto di vista per cui è ragionevole analizzare, per esempio, comportamenti animali descrivibili in termini di «altruismo», «simpatia» o «empatia».
Un punto di vista che si controlla nei laboratori e che ci fa capire come questi comportamenti – nella nostra specie – abbiano un'origine evolutiva e come quest'ultima vada intesa come «un processo neurale emerso per la prima volta nei nostri antenati animali». Di questo stato di cose ne parla Frans de Waal che ripropone il possibile riferimento a quei neuroni specchio che furono scoperti dal gruppo di Rizzolatti e che costituiscono una gloria della scienza italiana.
In poche parole, cominciamo davvero a renderci conto che gli stati emotivi precedono sempre i nostri sforzi di capire l'ambiente che ci ospita, e che ciò vale anche per gli altri animali: le emozioni sono i meravigliosi ingredienti del nostro vivere.
D'altra parte, il rinvio ai neuroni e agli stati del cervello coinvolge l'intero assetto della psicologia. Acute osservazioni, a questo proposito, sono elaborate da Edmund Higgins nel suo intervento su Genetica e malattia mentale, nel quale leggiamo che «solo di recente gli scienziati hanno iniziato a capire come l'ambiente influenza il cervello fino a produrre cambiamenti di ordine psicologico».
Come ci dice Higgins, nei laboratori di tutto il mondo si stanno esplorando i vari processi molecolari che sono in grado di modificare le operazioni genetiche, «fermando o riavviando la costruzione di proteine che influenzano lo stato mentale dell'individuo». Mente e cervello, appunto. Questa rivista presta da sempre la dovuta attenzione ai rapporti tra neuroscienze e psicologia.
E da sempre fa notare come questi rapporti si stiano arricchendo, così da incrinare le antiche barriere che ancora separano questi due campi di ricerca e che ci ostacolano lungo la via che ci porta a meglio conoscere noi stessi e gli altri corpi viventi.
Articolo tratto da: Le Scienze, Mente e Cervello