Combattere ansia e depressione, insonnia primaria e secondaria attraverso il Ginkgo biloba; le artromialgie attraverso massaggi e terapie cosiddette dolci (in particolare l’agopuntura nel trattamento dell’osteoartrosi del ginocchio); malattie dell’apparato riproduttivo (in particolare con l’uso del Pygeum africano per il trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna). Sono le possibilità offerte dalla medicina cinese analizzate dagli esperti internazionali riuniti pochi giorni fa all’Istituto superiore di sanità nella conferenza sinoeuropea di lancio del "Programma di internazionalizzazione della medicina tradizionale cinese".
Tra il 30 e il 50 per cento della popolazione adulta europea, e tra il 10 e il 40 per cento di quella italiana, secondo dati Doxa, Istat e Oms, fa uso di una qualche forma di medicina complementare o "alternativa", inclusa la medicina tradizionale cinese. Si tratta tuttavia di "terapie" empiriche, non controllate e non supportate da prove di efficacia accettabili. Talora anche pericolose, mancando una regolamentazione e una vera e propria normativa nel settore. I disturbi e le patologie per le quali si ricorre a queste pratiche sono numerose e comprendono lombalgie e cervicalgie, allergie, astenie, artriti, cefalee, ipertensione, insonnia, depressione, problemi digestivi, broncopneumopatie varie. Talora si tratta di patologie serie, per cui il ritardo nell’applicazione di sistemi terapeutici di comprovata efficacia può essere gravemente nocivo dal punto di vista prognostico.
I cinesi stanno mobilitando moltissime risorse, circa 6 miliardi di euro nel settore della medicinale tradizionale e già paesi europei sono impegnati a livello di medicina tradizionale cinese, ma sempre sottoponendola ai canoni della medicina basata sull’evidenza e quindi si aprono prospettive interessanti soprattuto per l’Italia, ha detto il presidente dell’Iss Enrico Garaci ricordando che nel nostro Paese esiste già un laboratorio congiunto.
«È già stato finanziato con un cofinanziamento tra i due paesi e sono già state scelte le aree, dai vegetali ai farmaci già usati in Cina come l’artemisina che proviene proprio da quel Paese». Il progetto prevede la conduzione di revisioni meta-analitiche della letteratura medica a livello globale ed eventuali studi esplorativi e di fase 1 e fase 2 su preparati della medicina tradizionale che si ritengono eleggibili per la procedura di registrazione della direttiva europea. Tra le aree cliniche di maggiore interesse troviamo l’abuso di alcol e altre dipendenze, patologie cardiovascolari come ipertensione e aterosclerosi, patologie epatiche, obesità e disturbi metabolici (soprattutto diabete di tipo 2), patologie respiratorie. E poi il colon irritabile ed altre patologie infiammatorie intestinali, cancro e patologie precancerose, algologia e terapie palliative, malattie della povertà (malaria, tubercolosi e HIV/AIDS e patologie orfane, quali lebbra, leishmaniasi, filariasi di vario tipo).
La gerarchia dei preparati su cui verrà effettuata una prima decisione congiunta si basa su criteri quali la completezza della documentazione clinica, la disponibilità di studi clinici e la loro divulgazione, con eventuali evidenze provenienti da Paesi terzi. Ci si baserà, inoltre, sull’interesse clinico dei preparati, valutandone l’indicazione potenziale per patologie di ampia diffusione, di elevato costo economico finanziario, rare, con terapia basata spesso su farmaci orfani, o, infine, gestite con farmaci che presentino effetti secondari o indesiderati particolarmente frequenti. Questi studi mireranno essenzialmente a determinare gli ingredienti attivi dei preparati di scelta, la loro farmacologia, la loro biodisponibilità e il dosaggio ottimale e ad ottenere dati preliminari sulla loro sicurezza ed efficacia. Verranno anche condotti studi di epidemiologia clinica per chiarire i meccanismi d’azione e costruire eventuali modelli.
Se negli Stati Uniti il 65% delle scuole mediche offre almeno un corso su medicine non-convenzionali e il sistema degli istituti di ricerca medica nazionali (NIH) sta indagando al momento con oltre 150 trial clinici maggiori, nel nostro Paese il settore è visto con ambivalenza. Vari disegni di legge si sono arenati nel complesso iter parlamentare che devono seguire per un’approvazione esposta anche ad interessi settoriali di natura commerciale. Il parlamento europeo, con la direttiva 24, ha disposto un iter semplificato per la registrazione di prodotti della medicina tradizionale cinese, che, tuttavia, si basa sulla garanzia di sicurezza del paziente rispetto a prodotti potenzialmente nocivi o a pratiche di riferimento medico, esercitate da soggetti privi di qualsiasi vincolo di certificazione e/o accreditamento.
L’ISS sta realizzando per conto del Ministero della Salute un progetto che ha permesso l’attivazione di un laboratorio congiunto di ricerca e verifica in collaborazione con l’università di medicina tradizionale cinese di Tianjin. Il progetto prevede una revisione sistematica della letteratura e dei dossier di registrazione di farmaci e principi attivi che, inizialmente, trovano applicazione in campo riabilitativo, rivolgendosi alla cura di patologie croniche mutlifattoriali.
Il progetto, che si articola su un laboratorio e una sezione clinica in Cina ed un suo corrispondente in Italia, si inserisce in un quadro collaborativo più ampio, che i Ministeri della Salute italiano e i Ministeri della Sanità e della Scienza e Tecnologia cinesi hanno concordato all’inizio del 2007, in base a protocolli preliminari discussi precedentemente, prevede una serie di azioni congiunte, di natura sperimentale, clinica, epidemiologica, con il coinvolgimento di enti di eccellenza, quali da parte italiana – l’università di Firenze, l’università di Milano e varie realtà imprenditoriali italiane. Sono previste anche collaborazioni con istituzioni scientifiche e professionali di livello internazionale quali il National Centre for Complementary and Alternative Medicine del sistema degli Istituti Nazionali di Sanità statunitensi, e il Department of Ayurveda, Yoga & Naturopathy, Unani, Siddha and Homoeopathy del Ministero della Sanità indiano.
Fonte: http://www.lastampa.it