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    Il rischio di crescere

    ADOLESCENTI "CATTIVI"? UNA NUOVA RICERCA DICE DI NO

    L’alcol e le pasticche nelle discoteche, gli spinelli nelle scuole, la delinquenza nelle periferie, la guida spericolata del sabato notte, il bullismo e la violenza … Cifre e dati, poi le generalizzazioni. E la sentenza: gli adolescenti sono disadattati, depressi, problematici. Una generazione ad alto rischio…

    «Attenzione alla profezia che si autodetermina, se continueremo a descriverli e a considerarli un problema invece che una risorsa gli adolescenti si adegueranno: "Voi pensate che sia un delinquente o un buono a nulla e io, siccome non ho modo né voglia di convincervi del contrario, mi comporto come un delinquente, o un buono a nulla"».

    La stragrande maggioranza degli adolescenti non è così, sostiene Silvia Bonino, professore ordinario e responsabile del Laboratorio di Psicologia dello sviluppo dell’Università di Torino. E per dimostrarlo, proprio recentemente, ha pubblicato in un libro, edito da Giunti e intitolato Il fascino del rischio negli adolescenti, dati e considerazioni sui comportamenti dei nostri ragazzi. Ma anche della famiglia, della scuola e della comunità nei loro confronti.

    Sì, proprio i "nostri ragazzi", spiega Silvia Bonino, perché l’indagine che il Laboratorio dell’Università di Torino conduce da oltre 10 anni non ha preso in considerazione un campione particolare, pescato fra gli utenti dei consultori o dei servizi per la tossicodipendenza o fra i ragazzi segnalati ai tribunali dei minori. Ma un "campione normativo", come si dice, di oltre 2.500 giovani fra i 14 e i 19 anni che, in Piemonte e Valle d’Aosta, frequentano i vari tipi di scuole superiori e risiedono in città o in medi e piccoli centri urbani. «Ragazzi normali, che magari hanno messo in atto comportamenti a rischio, ma in cui non si è consolidata alcuna patologia. Ragazzi che comunque non hanno abbandonato la scuola. I nostri figli, insomma».

    Ed è proprio il campione che fa la differenza, spiega la Bonino. Che più è bilanciato per età, genere, scuola, residenza, ambiente di provenienza, più rispecchia la realtà effettiva. E la realtà effettiva non parla affatto di tutta questa devianza. E smentisce pure che sia l’uso di sostanze psicoattive il comportamento a rischio più diffuso fra gli adolescenti.

    Se prendiamo i dati di chi ha provato almeno una volta a fumare marijuana arriviamo al 28 per cento (il dato medio italiano è 27 e l’europeo 21). Ma si tratta di ragazzi che hanno provato una o due volte e poi smesso. Se invece consideriamo i fumatori saltuari arriviamo al massimo al 12 per cento, mentre gli abituali sono il 10 per cento. Con un picco, come per tutti gli altri comportamenti a rischio, fra i 16-17 anni. Picco che va attenuandosi, tranne che per i disturbi alimentari e il fumo di sigaretta, dopo i 18 anni. Contrariamente a quello che si pensa, si "fuma" di più nei piccoli centri che nelle grandi città e fra i ragazzi delle scuole professionali più che dei licei. Piccoli centri che, si sa, poco offrono dal punto di vista aggregativo; scuole, quelle professionali, che preparano precocemente al lavoro e in cui, più che in altre, è diffusa l’insoddisfazione dei docenti. Infine le famiglie: quelle dei ragazzi più a rischio risultano in genere autoritarie, oppure permissive fino all’indifferenza. O all’assenza educativa.

    Emerge, invece, dalla ricerca che è il fumo di sigaretta di gran lunga il comportamento a rischio più diffuso, e anche più precoce, sia fra i ragazzi sia fra le ragazze: tra fumatori saltuari, moderati e forti raggiungiamo il 38 per cento dei casi (dato uguale a quello italiano e lievemente superiore a quello europeo). E il fumo aumenta con l’età.

    Presi, poi, maschi e femmine separatamente, per i primi, più diffusa della marijuana è la guida pericolosa, prima causa di morte fra gli adolescenti, con pochissime sanzioni alle infrazioni. Nelle femmine, invece, più diffuso è il comportamento alimentare disturbato: 30 per cento dei casi. Non il comportamento estremo, ma quello medio, che dura nel tempo e si consolida con l’età. Cronicizza. Ed emerge anche un altro fatto importante: gli adolescenti sanno benissimo che ciò che fanno è pericoloso. Ma lo fanno lo stesso. Sicché è illusorio pensare che sia l’informazione il deterrente più efficace. Occorre piuttosto capire che funzione hanno questi comportamenti.
    A che cosa servono loro.

    Una ricerca di adattamento

    «I comportamenti autodistruttivi o pericolosi», sostiene Silvia Bonino, «sono frutto di una scelta, di una valutazione, di una ricerca di adattamento. Che sfocia nel rischio perché chi li mette in atto non ha trovato altra strada per affermarsi. E per tutti il "fattore stabilizzante" è la difficoltà di crescere». Perciò, per prevenirlo è necessario attivare per tempo "fattori protettivi" efficaci. In famiglia: regole e richieste, ma anche supporto emotivo-affettivo e dialogo. Nella scuola: rispetto, partecipazione, valorizzazione, ma pure rigore e sanzioni alla trasgressione. Nella comunità: occasioni di aggregazione e riflessione su di sé e sul mondo, ma anche opportunità di fare insieme qualcosa di utile.

    «Valorizzati, trattati come risorse, ricche di spunti persino per il mondo adulto, i giovani immancabilmente rispondono», conclude la Bonino. «Perché trovano conferma del loro valore, della loro utilità sociale. Ma ai ragazzi occorre ricordare che sono loro i primi attori del proprio sviluppo. Non sono determinati da nessuno: come tutti, però, hanno dei limiti. Fare appello alla loro responsabilità, alla loro capacità di prendere in mano sé stessi e la propria vita è il miglior modo di aiutarli a crescere».

    Articoli di Luciana Saibene tratto da: http://www.stpauls.it/

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