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    Il post-partum e lo stereotipo sociale

    La nascita di un figlio rappresenta una fase delicata, un passaggio tra più importanti all’interno del ciclo di vita della persona, della coppia e della famiglia.
    Nonostante sia definito in modo stereotipato come il momento più felice tanto i nove mesi di gravidanza che il periodo successivo alla nascita, sono scanditi da emozioni contrastanti, da attese, desideri, felicità, ma anche paure, ansie e preoccupazioni, portando con sé aspetti di criticità importanti. Sono infatti coinvolti fattori emozionali, fisiologici, psicologici, attiva nuove modalità relazionali, cambiamenti di ruolo e dei bisogni, tutti elementi che influenzano la salute della mamma, del papà e del bambino, con conseguenze sul benessere dell’intero nucleo familiare.

    “There is not such a thing as an infant”, ovvero, “Non esiste il bambino come una cosa a sé” – con queste parole, lo psicoanalista inglese Winnicott, valorizza l’importanza degli scambi tra la madre-ambiente e il bambino.
    Secondo questi presupposti è chiaro, quanto la salute della madre e dell’ambiente giochino un ruolo determinante per uno sviluppo armonico.
    Nonostante oggi ci sia una grande attenzione al periodo della gravidanza e post-gravidanza, vige ancora forte lo stigma socio-culturale che sia esclusivamente un momento di gioia e la convinzione che una madre debba essere sempre perfetta, avvolta da vissuti positivi, che non si possa sentire triste o avere emozioni ambivalenti, dopo aver dato alla luce il proprio bambino.
    Le mamme sentono la pressione sociale di dover essere felici, per questa ragione, spesso non parlano delle proprie emozioni e anzi le vivono con enorme vergogna e spesso solitudine.

    Stati di sofferenza che possono insorgere nel post-partum
    La madre durante i primi giorni di vita del bambino si trova alle prese con immensi cambiamenti fisiologici/ormonali, di abitudini di vita, dovrà difatti fare i conti con i bisogni e la dipendenza del bambino, con l’allattamento, l’addormentamento, attività puerperali che possono mettere alla prova l’equilibrio psicofisico della mamma e dei neo genitori. Lo stato di stress e di fatica unito a fattori bio-psico-sociali possono avere evoluzioni e portare a vivere un malessere con gradi di intensità diversi.

    Baby Blues o il Maternity Blues

    Il Baby Blues è un disturbo piuttosto diffuso seppur transitorio e di lieve entità.
    Si tratta di una condizione psicologica ed emotiva che colpisce la grande maggioranza delle madri, il 60-80% e il suo esordio avviene nella prima settimana dopo il parto, di solito il terzo o quarto giorno dopo la nascita.
    In questa fase la donna ha un brusco calo ormonale che incide molto sul tono emotivo. I sintomi riguardano: sentimenti di inadeguatezza nei confronti del neonato, sensazione di non sentirsi più sé stesse, irritabilità, tristezza, mancanza di concentrazione, labilità emotiva con crisi di pianto senza motivo apparente, difficoltà a dormire, perdita di appetito e calo ponderale.
    Possono perdurare fino a due, tre settimane ma tendono a scomparire spontaneamente con il passare dei giorni. Spesso le madri, ignare di questa condizione, vanno in allarme, creando così uno stato di angoscia ancora più profondo, per questo è giusto sapere che è una condizione comune e del tutto passeggera.

    La Depressione Post-Partum (DPP)

    La depressione post-partum o DPP è una vera e propria condizione patologica, che rientra nei disturbi dell’umore e colpisce il 10-15% delle donne (Società italiana di Ginecologia e Ostetricia: SIGO, 2008). È uno stato che emerge più frequentemente dopo la nascita del primo figlio e insorge nelle quattro, sei settimane successive al parto.
    Secondo i dati del 2013 del Ministero della Salute, l’incidenza in Italia è prevalentemente nel primo trimestre dalla nascita del bambino.
    Spesso i sintomi sono tenuti nascosti per motivi di vergogna, arrivando così a consultazione quando la sintomatologia risulta già conclamata.
    Il disturbo si manifesta con: un umore depresso, eccessiva preoccupazione, ansia, astenia, irritabilità; difficoltà a concentrarsi o prendere decisioni, sentimenti di colpa, disturbi del sonno (insonnia o ipersonnia), disturbi dell’alimentazione, facile faticabilità, perdita di interesse e piacere anche nelle attività quotidiane e pensieri pessimistici.
    Alcune madri, inoltre, sentono il bambino come un peso, hanno difficoltà a tollerare le emozioni ambivalenti o negative nei confronti del piccolo oppure ad accudirlo e a rispondere ai suoi bisogni fisici e relazionali, con conseguenti sentimenti di inadeguatezza e di colpa crescenti. Tale disturbo ha un impatto sulla donna, sul bambino, sulla coppia e soprattutto sulla relazione madre-bambino. Per questo, risulta fondamentale poterne parlare, quando possibile, attivando il sostegno da parte dei familiari.

    Che differenza c’è tra le due condizioni e come distinguerle?

    Il Baby Blues:

    • si manifesta nella prima settimana dopo il parto;
    • i sintomi sono transitori e vanno in remissione completamente entro circa 15 giorni dopo il parto;
    • è causato principalmente dalle sollecitazioni psicologiche ed ormonali (cali di estrogeno e progesterone);
    • non ha conseguenze sulla relazione madre-bambino;
    • non è previsto un intervento specifico, di solito basta aspettare che i sintomi vadano in remissione spontanea dopo qualche settimana. Qualora se ne sentisse la necessità sarebbe consigliabile una consulenza psicologica di sostegno, per affrontare nel modo migliore il periodo difficile, anche se transitorio.

    La Depressione Post-partum (DPP):

    • si manifesta nelle quattro, sei settimane dopo il parto;
    • i sintomi sono patologici e più gravi, persistono oltre i 10-15 giorni e compromettono il funzionamento della mamma;
    • disturbo psicologico ad eziologia multifattoriale: variabili biologiche, ambientali e psicosociali;
    • produce una limitazione nell’espressione dell’affettività, c’è la tendenza ad interpretare negativamente il comportamento del bambino e una ridotta responsività ai suoi segnali, interferendo in modo significativo sulle funzioni di accudimento genitoriale;
    • in questa situazione bisogna contattare uno specialista è progettare l’intervento più indicato. È necessario di solito un intervento multidisciplinare: un percorso psicoterapeutico integrato ad un trattamento farmacologico, soprattutto se i sintomi sono di notevole gravità.

    La Depressione Post-partum nei padri

    Nonostante la nascita di un figlio rappresenti un cambiamento per entrambi i genitori con conseguenze emotive, relazionali e di adattamento per entrambi, la maggior parte degli studi sulla psicopatologia perinatale si sofferma sulle mamme e poco sui papà, questo fa’ riferimento a quell’atteggiamento di maternal gatekeeping ovvero la convinzione che la gravidanza e il parto siano qualcosa che coinvolge quasi esclusivamente le mamme, con la tendenza ad escludere i papà.
    Negli ultimi anni però si sta facendo strada l’importanza di considerare lo stato emotivo dei partner, scoprendo come la scarsa chiarezza e definizione al riguardo porti a considerare alcune manifestazioni come normali reazioni all’ esperienza di paternità.
    La sintomatologia depressiva si presenta in forma più lieve, meno definita ed è caratterizzata, nella maggior parte dei casi, da vissuti di tensione e tristezza e dal non sentirsi all’altezza della cura del neonato.
    Spesso si presenta in presenza con altri disturbi, rendendone difficile il riconoscimento, ad esempio in comorbidità con disturbi d’ansia, disturbi di somatizzazione, agiti comportamentali, abusi da sostanze, disturbi di dipendenza.

    Cosa è importante considerare per individuarla e intervenire

    La donna che si trova a soffrire di una DPP difficilmente chiede aiuto, prevale il senso di isolamento e di vergogna e più è isolata, più è difficile che qualcuno possa percepirne lo stato e il grado di malessere.
    Spesso i fattori di rischio o anche la sintomatologia possono essere individuati da operatori sanitari quale ad esempio il medico di famiglia, ginecologo, pediatra, altre volte sono il compagno e i familiari a cogliere i segnali di malessere.
    La capacità di resilienza della donna gioca un ruolo importante, ma spesso sono i partner a riconoscere precocemente i segnali, ad accorgersi di cambiamenti nel comportamento e nel tono dell’umore; in questi casi è indispensabile evitare di sminuire il malessere o criticare il comportamento della donna, atteggiamenti che potrebbero farla sentire ancora più in colpa e inadeguata, ma necessario è validare i vissuti della neo-mamma, offrendo un sostegno emotivo e aiutandola anche concretamente nella gestione quotidiana del bambino.
    In tale prospettiva, aumentare la consapevolezza dell’ambiente permette di comprendere quando alcuni cambiamenti richiedono un’attenzione e un intervento, la rete di supporto sociale e le persone vicine alla neo-mamma sono le principali risorse che accompagnano e sostengono le donne nella richiesta di aiuto.

    Se il malessere fa sospettare una DPP, vanno attivati interventi specifici e precoci, senza pensare che sia una cosa vergognosa o eccessiva, ma anzi una scelta responsabile per il benessere di tutti, soprattutto della mamma e del piccolo. Intervenire tempestivamente vuol dire non far perdere alla mamma dei momenti molto importanti, vuol dire aiutare la relazione tra questa e il proprio bambino ed evitare conseguenze negative nello sviluppo.

    Come sostiene il Ministero della salute è scientificamente provato che la depressione è un disturbo prevedibile e quindi estremamente utile la prevenzione. La depressione post-partum, se non riconosciuta e trattata, interferisce con lo sviluppo della relazione con il bambino, favorendo conseguenze negative a lungo termine sullo sviluppo cognitivo, sociale ed emotivo del bambino.
    In tal senso importante risultano i programmi di screening per l’individuazione delle donne a rischio di sviluppare depressione post-partum, come parte integrante della valutazione del benessere psicofisico della donna.
    Dobbiamo pensare sempre di più alla maternità come a un momento che coinvolge tutto l’ambiente che circonda la mamma, dove la sensibilizzazione può fornire una rete di sostegno in una transizione evolutiva così intensa.
    È necessario garantire un adeguato sostegno professionale alla genitorialità, attraverso il potenziamento dei corsi di accompagnamento alla nascita, fattore protettivo che riduce il senso di solitudine e isolamento e che fornisce strumenti per comprendere la complessità di questo nuovo assetto individuale e familiare.


    Articolo scritto dalla dr.ssa Roberta Mattone, tutor del Master Breve online in Psicologia Perinatale, organizzato da Obiettivo Psicologia.


    Bibliografia
    Ammaniti M. (2010) Psicopatologia dello sviluppo. Modelli teorici e percorsi a rischio Milano: Raffaello Cortina Editore(2010)
    Baldoni F. (2016), I disturbi affettivi nei padri. In P. Grussu e A. Bramante (Eds.), Manuale di Psicopatologia Perinatale, Trento, Erickson
    Stern, D.N.; Bruschweiler, N. (2000). Nascita di una madre. Come l’esperienza della maternità cambia una donna. Mondadori.
    Stern, D. N. (1987) Il mondo interpersonale del bambino. Torino: Bollati Boringhieri Editore
    Winnicott, D. (2017) Dalla Pediatria alla psicoanalisi. Torino: Giunti Editore.

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