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    Falsi collaboratori, in Italia un milione e 400mila

    "Noi siamo della stessa stoffa di cui sono fatti i dipendenti". Così potrebbero dire, parafrasando Shakespeare, quei collaboratori che seppure nella forma di autonomi hanno invece molto di quello che caratterizza i dipendenti. Vanno in ufficio, utilizzano gli strumenti di lavoro del datore di lavoro e hanno margini di autonomia ridotti. Quasi tutto insomma, tranne il contratto e la paga. Ed è come se nel mondo del lavoro atipico, forma e sostanza si siano separate molto più che altrove in una modalità che crea disagi e pare sempre meno sostenibile. Spesso proprio perché ingiustificabile pure se spiegabile con ragioni che hanno a che fare con la riduzione dei costi.

    Il fenomeno è noto. La punta emersa di questo iceberg sono molti dei lavoratori dei call center, ma oltre a loro molte altre sono le categorie di lavoratori in qualche modo impigliati in questa situazione. Fino ad oggi era sempre rimasto difficile indicare con precisione quanti fossero. Informazioni chiarificatrici su questo mondo arrivano ora dall’Isfol che, con la rilevazione Plus promossa dal ministero del Lavoro, ha messo sotto la lente il complesso mondo del lavoro autonomo.

    “Per identificare i lavoratori con contratti autonomi nei quali alla forma autonoma corrispondono prestazioni da dipendente – ci ha detto Emiliano Mandrone curatore della ricerca Isfol-Plus – abbiamo somministrato un modulo con sei quesiti. I primi cinque li abbiamo derivanti dall’analisi dei contenziosi presso i Tribunali del Lavoro e l’ultimo relativo alla volontarietà della condizione lavorativa”.

    Così i lavoratori hanno dovuto dire se vengono impiegati da un unico datore, se sono tenuti a garantire la presenza in maniera regolare presso la sede dell’impresa, se devono attenersi a un dato orario di lavoro, se utilizzano come strumenti di lavoro mezzi messi a disposizione da datore e se il contratto presso quel datore è stato più volte rinnovato. Infine ciascuno è stato chiamato a dire se lo status di “lavoratore autonomo” è uno status scelto volontariamente o se invece nasce da una richiesta del datore di lavoro.

    Quali i risultati? “Considerando le persone con 5 o 6 caratteri di subordinazione abbiamo oltre 400mila individui – dichiara Mandrone -. Se consideriamo i lavoratori esposti a 3-4 vincoli registriamo poco meno di un milione di persone.” Nel complesso sono circa 1,4 milioni, riportano gli autori dell’indagine, i “lavoratori [che] segnalano una natura del lavoro poco autonoma – parasubordinata appunto – e sembrano oggetto di un effetto sostituzione più o meno rilevante al lavoro dipendente.”

    Nel dettaglio dei singoli parametri si scopre che l’83 per cento delle persone con una collaborazione coordinata e continuativa lavora in maniera esclusiva per un solo datore di lavoro. Lo stesso accade al 69% delle collaborazioni occasionali, a otto collaboratori a progetto su dieci e a poco più della metà di quelli che lavorano con la partita Iva.

    Quanto alla presenza sul posto del lavoro, il fenomeno coinvolge più della metà dei collaboratori. Sono la maggioranza anche coloro che hanno concordato l’orario di lavoro da rispettare: il 65% dei co.co.co, il 40% delle collaborazioni occasionali e il 55 per cento dei collaboratori a progetto. Accade lo stesso solo al 20 per cento di coloro che lavorano con la partita Iva.

    Se si guarda al requisito della volontarietà dello status di autonomi, ci si accorge che sono soprattutto i lavoratori a progetto a ritrovarsi contro volontà nella situazione atipica: il 67,2%. Poco meno della metà dei co.co.co. Inferiori invece la quota dei collaboratori occasionali (il 38,8%) mentre tra coloro che hanno la partita Iva solo il 9,6% dice di avere optato per questa forma su richiesta del datore di lavoro.

    Ma cosa si fa per loro? Cosa si fa per evitare che questi impieghi distorti crescano ancora di più? “La riduzione del lavoro parasubordinato – ci ha detto Lea Battistoni, direttore generale del ministero del Lavoro – è una delle priorità di questo ministero. Inizialmente ci si è mossi attraverso una iniziativa rivolta in particolare alla stabilizzazione dei lavoratori dei call center. C’è stata la direttiva e poi una serie di attività, dall’informazione alle aziende, all’attività anche di informazione degli ispettori, alla realizzazione di una banca dati sulle aziende dei call center e sui contratti. Tutto questo ha portato a un accordo comune. In Finanziaria sono state inserite delle misure per la stabilizzazione dei rapporti di lavoro per favorire la trasformazione dei contratti di collaborazione in lavoro subordinato (n.d.r. art. 178). In generale come politica del ministero ci si è adoperati per rilanciare il lavoro a tempo indeterminato e i rapporti di lavoro standard. Conservando una flessibilità del mercato del lavoro ma solo per quei lavori che richiedono l’utilizzo temporaneo di lavoratori, per attività e bisogni aziendali ben definiti.”

    Fonte: http://lavoro.repubblica.it

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