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    Educazione sessuale: si discute da cento anni. Ma i giovani restano in confusione

    Un titolo che sembra preso da un romanzo rosa: Innamorarsi, che magia! All'interno, paragrafi sui palpiti del cuore, una lettura da Amos Oz, un box dsu Moccia. All'educazione sessuale è dedicata una mezza paginetta, in caratteri piccoli, con due figurine. In un libro di Educazione alla cittadinanza per le medie, il capitolo sull'affettività si esaurisce così.

    Eppure, qualche nozione sul tema sarebbe utile: ne avrebbe avuto un gran bisogno, per esempio, la quattordicenne di Foligno che ora aspetta un figlio dal fidanzato quindicenne, come raccontato settimana scorsa dai quotidiani. D'altra parte, gli ultimi dati pubblicati dalla Sigo (Società italiana di ostetricia e ginecologia) sulla consapevolezza sessuale degli adolescenti mostrano un universo confuso, con il 21 per cento dei ragazzi che utilizza come fonte di informazione la pornografia, mentre il 58 per cento delle ragazze sostiene di non usare contraccettivi perché non li ha «a disposizione». Il 64 per cento degli intervistati, infine, vorrebbe discuterne in classe. E qui, sono dolori. Perché l'educazione sessuale in Italia non passa, nonostante se ne discuta da cent'anni (il primo progettio di legge è del 1910). Basta sfiorare il tema, e si alzano le barricate. Qualche mese fa, un articolo del settimanale cattolico Tempi ha bocciato la visita in consultorio fatta da una scolaresca di tredicenni milanesi. Risultato, secondo il giornale, una lezione di sesso «chiedi e gusta», dove sarebbe passata l’idea che «ognuno può fare quel che vuole». Più recentemente, la provincia di Roma ha proposto l’installazione di macchinette per la distribuzione di preservativi alle superiori. Implacabile, la condanna del Vaticano. E a tutt’oggi, nessuna scuola ha fatto domanda.

    «È un problema di cultura», spiega Emilio Arisi, del direttivo Sigo. «In Nord Europa è normale parlare di sesso a scuola e a casa, i genitori regalano i preservativi ai figli. Da noi, i cattolici sostengono di essere gli unici ad avere un comportamento morale». La Sigo ha preparato un kit per gli studenti: si chiama «Scegli tu», e fa parte di una campagna di informazione su sessualità e contraccezione. A disposizione dei ginecologi ci sono una brochure, un questionario e un video animato di Bruno Bozzetto. La Sigo ha in partenza anche un’altra iniziativa, con il Coni: corsi di formazione per gli allenatori, «che godono di grande fiducia da parte dei ragazzi, e proprio per questo devono essere pronti a rispondere alle loro domande», spiega Arisi.

    In assenza di una legge, la scuola va avanti. A fasi alterne. A Milano, la Asl teneva un bellissimo corso (Io donna ne aveva parlato nel 2004), Le parole non dette, che insegnava ai bambini delle elementari a difendere il proprio corpo dagli abusi. È stato abolito qualche anno fa: «Abbiamo cambiato strategia», sostiene Roberto Calia, direttore del servizio famiglia. «Nelle elementari e medie non interveniamo più direttamente, ma formiamo gli insegnanti. Sono loro, se vogliono, a portare i più grandi al consultorio, restando presenti agli incontri con i ginecologi». Alle superiori, invece, vale il sistema della peer education, con alcuni studenti che fanno da tutor ai compagni. L’anno scorso si sono tenuti 28 corsi per maestre d’asilo, 35 per quelle delle elementari, 22 per le medie. Il problema è che non tutti i docenti «formati» trasmettono agli alunni quanto hanno imparato: «Il 60 per cento mette in atto il progetto, il resto no» ammette Marisa Lanzi, della Asl.

    Ma perché il compito è stato affidato ai prof? Forse per risparmiare? «Assolutamente no» si difende Calia. «Gli insegnanti garantiscono continuità. Gli esperti invece arrivano, fanno una lezione e se ne vanno. E magari usano un linguaggio troppo diretto, non apprezzato da tutti i genitori». Già, perché il problema è che cosa deve insegnare l’educazione sessuale: l’emozione del primo bacio o come prendere la pillola del giorno dopo? Nell’ormai celebre visita al consultorio della scolaresca milanese, un ginecologo aveva mostrato come si infila un preservativo. Apriti cielo. «Noi siamo medici, utilizziamo un linguaggio scientifico con sensibilità» assicura Arisi. In provincia di Roma, l’assessore alla scuola Paola Rita Stella presenterà a giorni, alle superiori, una campagna di prevenzione sulle malattie sessualmente trasmissibili e un corso di educazione all’affettività. Ma resta cauta: «Stiamo valutando come».

    Nella capitale (come a Napoli e a Bologna), le iniziative pubbliche sono poche. A fare una campagna a tappeto è solo l’Aied, storica associazione per l’educazione demografica. Da vent’anni, su chiamata delle scuole, organizza corsi gratuiti: «Abbiamo ginecologi, psicologi e, alle superiori, anche un avvocato che spiega le leggi; quella sull’aborto, la violenza sessuale» spiega la responsabile Anna Sanpaolo. «L’approccio è graduale: alle elementari parliamo di sentimenti; alle superiori rispondiamo ai ragazzi. La confusione è assoluta; se chiedo a 30 ragazze dov’è l’imene, avrò 25 risposte diverse. I maschi hanno l’ansia da prestazione, le femmine temono di non piacere». L’Aied fa quel che può, ma a Roma copre una decina di scuole, al Sud meno.

    In provincia di Trento, invece, da dieci anni, l’azienda sanitaria locale organizza corsi di educazione sessuale per le terze medie e le seconde superiori; l’anno scorso 2.600 ore di lezione, per più di 9 mila studenti. «Di tutti i nostri corsi» spiega una delle responsabili, Annamaria Moretti «questi sono i più frequentati». Proteste? «Una all’anno, non di più». Nelle 6-8 ore di incontri, i ragazzi esprimono i loro dubbi: «Qualche volta mancano le nozioni base di biologia, che spetterebbe agli insegnanti dare» dice Moretti. «Noi dovremmo intervenire dopo, su due fronti: la dimensione affettiva e il rapporto sessuale come scelta». Le domande delle ragazze vanno da «cosa succede quando mi innamoro» a «è vero che la pillola aiuta a prevenire le malattie sessuali». A corredo, la Provincia distribuisce un opuscolo sulla contraccezione: «Ci abbiamo messo anche il coito interrotto, che non è un contraccettivo, perché molti lo praticano». Previste anche le visite al consultorio, che qui non provocano malumori. Iniziative locali a parte, arriverà mai una legge nazionale? Eugenia Roccella, sottosegretario alla Salute, è stata lapidaria: «L’educazione sessuale non può essere materia di studio, va fatta in famiglia». Ma in Trentino non la pensano così.

    Fonte: http://www.corriere.it/

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