Quando il consenso del paziente è fondato sui suoi bisogni, e quando è semplice accondiscendenza all’autorità del medico? La recensione di un libro offre l’occasione per alcune riflessioni, ospitate sulle pagine del New England Journal of Medicine.
Eric Cassel, professore al Medical College della Cornell University di New York, prende lo spunto dalla biografia di Stanley Milgram, lo psicologo noto per i suoi studi sul meccanismo dell’obbedienza. Milgram è stato reso celebre dai suoi esperimenti volti a comprendere in che modo gli individui possono andare anche contro le proprie convinzioni semplicemente per obbedienza a un’autorità superiore. Nell’esperimento che ha reso famosi i suoi studi, degli individui, in seguito all’ordine di una persona autorevole, venivano indotti a somministrare scosse elettriche ad altri soggetti, allo scopo di effettuare una “ricerca”. La maggioranza degli individui eseguiva il compito richiesto, anche se ciò era contrario ai propri principi, semplicemente per obbedienza. Questi studi hanno gettato una luce su come persone miti e civili possano, in condizioni particolari come ad esempio una guerra o una dittatura, trasformarsi in carnefici.
I risultati degli studi di Milgram, trasferiti nel campo della medicina, ci fanno riflettere su almeno due aspetti della pratica medica: il consenso che proviene dal paziente di fronte alle proposte terapeutiche del medico, e gli aspetti critici dell’obbedienza, negli ospedali universitari, del tirocinante alle direttive del medico a cui fa riferimento. Si tratta di una piramide di potere – dal cattedratico all’assistente, poi allo studente, fino al paziente – che ha una sua funzionalità, ma che può anche dare luogo ad abusi. La formazione degli studenti raramente affronta l’aspetto di come discriminare correttamente, e di come sviluppare la capacità di obbedire mantenendo una visione di insieme e un equilibrio con i criteri etici che devono informare la pratica clinica. “In una certa misura, l’obbedienza è un requisito della formazione, ma l’abuso di autorità non si deve verificare nelle istituzioni mediche: va insegnato a disobbedire in modo appropriato”, afferma Cassel. “È importante che questo problema e le sue soluzioni vengano discussi e integrati nei programmi di formazione”.
Un altro aspetto rilevante della questione dell’obbedienza è legato alla relazione medico-paziente. Dal rapporto fideistico, in cui il paziente si metteva nelle mani del medico e seguiva le sue indicazioni senza farsi domande, questa relazione si sta evolvendo verso una diversa distribuzione delle responsabilità. Le aspettative attuali sono, da parte del paziente, ricevere informazioni obiettive che gli forniscano strumenti per identificare la scelta terapeutica che più si adatta alle sue esigenze; mentre per il medico l’aspettativa è che il paziente abbia una sua autonomia, si faccia carico della sua parte di responsabilità ed esprima una “scelta informata”, prendendo in prima persona le decisioni che riguardano la propria salute.
Questo quadro ideale diviene molto più complesso quando è applicato alle persone e alle situazioni reali. In primo luogo, che cosa significa autonomia del paziente? La malattia, per sua natura, produce delle fragilità non solo fisiche che possono rendere l’individuo bisognoso di un sostegno per poter prendere le decisioni giuste. Non è sufficiente, come a volte accade, fornire al paziente in modo “neutro” le informazioni sulle varie opzioni e poi aspettare che sia lui a decidere cosa fare. Il paziente desidera conoscere l’opinione le le propensioni del medico, e questo di per sé non è una mancanza di autonomia, ma solo una forma di fiducia nelle sue competenze.
Ma il consenso di un paziente quante volte esprime veramente la sua volontà, e quanto spesso invece è accondiscendenza che nasce dalla sua soggezione verso l’autorità? Spesso nella persona ammalata scatta il desiderio di compiacere il medico, di non deluderlo, e allora cerca di capire quali siano le sue aspettative e di soddisfarle. Dipende anche dall’atteggiamento del medico dare al paziente la possibilità di aprirsi, sentirsi abbastanza sicuro e non giudicato da esprimere sinceramente il proprio punto di vista. Certe volte è il medico che deve con delicatezza esplorare le aspettative del paziente e aiutarlo a far emergere i suoi bisogni, per individuare qual è l’approccio terapeutico migliore per lui. “Il peggior ladro di autonomia è la malattia”, conclude Cassel. “Una delle funzioni delle cure mediche è aiutare i pazienti a riappropriarsi della loro autonomia, compresa la capacità di prendere decisioni autentiche”.
Fonte: Cassel EJ, Consent or obedience? Power and autority in medicine. NEJM; 352:328-30.
Articolo scritto da Antonella Sagone
Tratto da http://it.health.yahoo.net