Tecniche di imaging utilizzate per verificare se i pazienti in coma hanno attività cerebrale. Le hanno usate alcuni ricercatori americani del New York Presbyterian Hospital-Weill Cornell Medical Center: i risultati ottenuti, che sono stati pubblicati sull’ultimo numero della rivista Neurology, hanno sollevato dubbi e perplessità circa la definizione di stato comatoso o di morte cerebrale. La notizia è stata ripresa con un lungo commento dal New York Times.
Gli autori dello studio, usando la risonanza magnetica nucleare e la tomografia ad emissione di positroni, hanno confrontato l’attività cerebrale di due giovani in coma con quella di uomini sani. Gli stimoli a cui i pazienti e i volontari sono stati sottoposti sono stati soprattutto sonori: nastri con le voci di familiari registrate, musica. Mentre il totale dell’attività cerebrale nei due giovani in coma era notevolmente ridotta rispetto a quella di individui sani, le zone relative al linguaggio che si attivano in seguito allo stimolo erano paragonabili. Secondo i medici, dunque, il livello di coscienza i questi due ragazzi era superiore a quanto si potesse ritenere. “Queste tecniche potrebbero aiutare i medici a distinguere tra stati di coma reversibile e di morte cerebrale in maniera più chiara”, sostiene Joseph Fins docente di etica medica del Medical Center newyorkese.
Questa ricerca ha sollevato delle domande, che in argomenti così delicati, continuano ad essere aperte e a non ricevere risposte univoche. Dal punto di vista scientifico ci si chiede quale sia l’elemento discriminante che possa far ritenere un cervello vivo e attivo, se cioè l’esistenza di una qualunque attività sia sufficiente per affermare che l’organo è ancora in grado di assolvere, seppure parzialmente, le proprie funzioni. A questo seguono una serie di interrogativi di natura etica che, in mancanza di appigli scientifici concreti e incontrovertibili, si possono trasformare in prese di posizione confessionali.
Molti medici americani chiamati dal New York Times ad esprimere un giudizio sulla notizia hanno fatto notare come questi argomenti vadano trattati con molta cautela e come questa sia “più suggestiva che conclusiva”, cioè che da un’indicazione circa il fatto che il cervello continui ad avere un’attività residua ma nessuna indicazione sulla reale capacità di funzionamento dell’organo. Inoltre il numero esiguo di soggetti analizzati (solo due) impedisce di ritenere affidabile lo studio, pur considerandolo indicativo.
Articolo a cura di Emanuela Grasso
Tratto da http://it.health.yahoo.net