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    Colti, pagati poco e senza garanzie. Ecco i 300.000 della partita Iva

    Sono quasi 300.000, in aumento dopo l'introduzione della legge Biagi, per oltre due terzi hanno tra i 30 e i 40 anni e un livello alto di istruzione e di professionalità, sono spesso insoddisfatti (si dichiara tale il 48,2% degli uomini e il 53,2% delle donne). Sono i collaboratori professionisti con partita Iva. Una ricerca del Nidil-Cgil in collaborazione con l'Ires, il centro di ricerca del sindacato guidato da Guglielmo Epifani, ne traccia un ritratto, attraverso un campione degli iscritti al Fondo Inps per i parasubordinati.

    Nell'ultimo anno gli iscritti al Fondo sono cresciuti del 10%, soprattutto perché, dopo l'entrata in vigore della legge Biagi, è stato il datore di lavoro a chiedere l'apertura della partita Iva.

    Il 60,7% delle persone considerate hanno almeno la laurea o la specializzazione mentre il 10,4% può contare su un diploma universitario. Le donne in media sono più istruite degli uomini con il 71,3% del totale che ha almeno la laurea. Il 57% fa un lavoro completamente coerente con il proprio titolo di studio ma spesso la condizione del collaboratore non consente di costituirsi una famiglia. Il 76,1% del totale, infatti, non ha figli (il 91,5% fino ai 35 anni) mentre oltre il 29% vive con i genitori o con amici e parenti.

    E' infatti difficile costituire una famiglia dati i bassi livelli di reddito che queste attività comportano: quasi il 40% del campione guadagna meno di 1.000 euro al mese, indipendentemente dall'impegno orario. Solo il 7% del campione guadagna oltre i 2.000 euro al mese mentre il 42,7% può contare su un'entrata tra i 1.000 e i 1.300 euro al mese.

    Guadagnare poco non significa lavorare altrettanto. L'orario medio per le classi di reddito tra gli 800 e i 1.300 euro è molto vicino a quello dei lavoratori dipendenti con 39,6 ore a settimana mentre nel caso di entrate superiori a 1.500 euro al mese gli orari medi superano le 43 ore.

    Non solo: la maggior parte dei collaboratori con partita Iva ha una posizione abbastanza simile a quella del lavoratore dipendente: infatti il 39,4% ha un unico committente mentre il 43,4% ha un committente principale anche se poi conta su altre consulenze.

    La monocommittenza è frequente soprattutto nel gruppo degli under 30 (il 60,9% anche se è presente anche nel gruppo dei meno giovani. La stragrande maggioranza dei professionisti monocommittenti lavora presso la sede dell'azienda (75%) e deve garantire una presenza oraria (70%) per lo più quotidiana (55%).

    Alta la percentuale degli intervistati che si percepisce lavoratore dipendente non regolarizzato (il 43,5%) piuttosto che libero professionista vero e proprio mentre la maggior parte delle persone considerate ha aperto la partita Iva non per scelta, ma come condizione legata al tipo di professione (37%) o imposta dal datore di lavoro (38%).

    Gli intervistati lamentano la mancanza di tutele sociali a partire da quelle previdenziali (la copertura è considerata inadeguata), e da quelle sulla malattia e la maternità. Il 40% del campione comunque preferirebbe un lavoro dipendente, percentuale che sale al 52,2% tra chi ha meno di 29 anni.

    Fonte: http://www.repubblica.it

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